Obama, un'operazione di marketing riuscita
di Marco Aurelio Casalino
L’elezione di Barack Obama ha scatenato momenti di entusiasmo prossimi al delirio collettivo, un’esaltazione quasi messianica per il primo uomo di colore che ha avuto accesso alla Casa Bianca. In Europa, e nel Mondo, la frenesia ha attraversato tutti gli ambiti sociali, suscitando atti di ritrovata fede nelle virtù (virtù?) della democrazia (democrazia?) statunitense e ubriacature condite da forti dosi di propaganda etnicista per il baldo Obama. Ora, passato qualche mese dall’evento, è venuta l’ora di riconsiderarlo con maggiore attenzione politica e spogliandosi di emotività. È vero, sì, che gli abitanti degli Stati Uniti sono soliti eleggere un uomo politico come fosse una rock star carismatica, tutto stile glamour, molto people, e tutto frasi fatte e propaganda d’impatto (una sintesi fra Fonzie e il Principe di Bel-Air…) ma noi, che dovremmo essere diversi nei giudizi, conoscendo gli uomini, la politica e la storia, avremo un’altra luce nel vedere la realtà per come essenzialmente è (non nutro molte speranze in questo, in quanto è arrivata anche da noi questa sorta di politica da “avanspettacolo”, tutta slogan e niente idee… ma almeno ci spero).
Un semplice colpo d’occhio alla squadra che ha gestito e finanziato la campagna del candidato Obama, con una raccolta di biografie delle persone “cruciali”, e tutto torna normale. Infatti, l’importante per le “vere” classi dirigenti statunitensi non è il partito di questo o di quel governo, ma il partito che, pur cambiando, è in grado di assicurare il potere già esistente nello Stato, cioè quel complesso di lobbies militare-industriale-finanziario (cioè politico…) che, apparentemente ma solo spettacolarmente, dà l’impressione di corrispondere alle aspirazioni delle masse, ma realmente continua nel suo “progetto”, fatto di interessi finanziari, simbolici e, quindi, politici. «Bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga come prima» diceva Orwell. Il capitalismo più avanzato e, quindi, più potente è quello apparentemente più tollerante, cioè quello aperto a qualsiasi tipo di partito (democratico ovviamente), a qualsiasi sfaccettatura della amata globalizzazione, quindi socializzazione, sessualizzazione, destra repubblicana, sinistra democratica, ateismo, omosessualità, travestiti, lesbiche, negri, ispanici, cinesi, coreani, ebrei, amerindi ecc. Non esiste origine etnica, né discriminazione politica o culturale, a patto che tutto queste realtà non mettano in discussione il “Potere”. Si tratta di una “positività” estremamente vincente (anche se talvolta scade nel grottesco o nel politically correct), creando una miscela di differenze (innocue) nella quale si dà vita ad un collage, il cosiddetto «Melting pot», dove quella che chiamiamo «società» o «Stato» non è altro che un’accozzaglia di razze, culture, popoli, spersonificati a dovere e amalgamati tutti insieme, come per azzerarli, annientarli,massificarli, come avviene nella sfera della merce e dei prodotti (vedi «l’uomo massa» di Marx).
Da questa realtà profondamente malefica proviene Obama e la sua elezione, e solo i soliti ingenui e ciechi (anche se imbardati di lauree e titoli…) possono non considerarla per quello che è: una grande operazione di marketing politico. Questi dovrebbero sapere, prima di adulare, che lo Stato capitalista che dirige e domina la grande economia (e quindi la politica mondiale), avente come ideologia cardine il “Dio Denaro” e la sacralizzazione quasi mistica della ricchezza (da cui scaturiscono ovviamente povertà e schiavitù per i restanti 2/3 del mondo…), mai avrebbe e mai ha accettato, approvato od anche solo tollerato una forza autenticamente popolare, se Obama in questo l’hanno confuso. Ogni realtà che ha messo o anche solo provato a mettere in discussione l’equilibrio dei Poteri, la distribuzione del denaro (ehm, scusate Dio…) e delle proprietà, è stato schiacciato, senza margini di negoziato, con un gioco “democratico” molto abile. È la storia che parla, non io. Allora, come è andata davvero?
Quattro anni fa Barack Obama non era che un giovane senatore dell’Illinois, eletto da poco, e anchesconosciuto. Due anni fa dichiarò la sua candidatura alla presidenza. Tenendo conto che non è un esperto mestierante della politica come la sua rivale Hillary Clinton, non poteva fare appello a dinastie potenti come Roosevelt o a famiglie cattoliche ricchissime come Kennedy, non ha mai svolto ruoli di primo piano in campo militare come l’altro suo rivale McCain, non ha la preparazione culturale del suo idolo Lincoln, allora c’è davvero da chiedersi: come diavolo (e forse il diavolo ne sa qualcosa…) ha fatto a diventare Presidente di una delle prime potenze mondiali?! Sarà bastato un semplice «Yes, we can!»?! Oppure sarà bastato essere di colore? Per quanto mi riguarda, il valore politico di un uomo non è dato dal suo colore della pelle, anzi, a tutti i suoi buonisti, moralisti e zelanti-simpatizzanti, rispondo che è in realtà una maniera molto razzista e semplicistica di giudicare, quasi che la grande politica sia questione di razza, e non di idee.
Partiamo dal punto cardine che Barack Obama, fin dal momento della sua candidatura, ricevette immediatamente somme considerevoli. E, se mi avete seguito fino ad ora, avrete capito che il “Sistema” non consente mai l’emergere di una candidatura imprevista. Insomma, parliamoci chiaramente: il caro Obama ha giocato il gioco deipadroni della Finanza Mondiale, e il sostegno senza riserve che gli hanno accordato George Soros(in foto) e Warren Buffet (chi sono?... INFORMATEVI!!!) la dice lunga sulle sue relazioni con il capitalismo finanziario e sul suo non essere il “nuovo Messia”. Gli Stati Uniti non sono solo il paese più odiato al mondo, ma anche quello che, a furia di speculazioni da parte dell’alta Finanza Mondiale sui popoli, trascina il Pianeta intero nel suonaufragio economico, nonché culturale. Sono in stato di recessione avanzata, oggetto di speculazioni massicce. Per non perdere il sostegno necessario a proseguire la loro politica imperiale, se non si voleva che il Paese diventasse ingovernabile, bisognava proporre qualcosa di nuovo, una nuova immagine, senza intaccare il potere economico e politico: lavorare sull’immagine come fosse un simulacro. Una scelta di facciata che superasse la solita classe politica che esiste da tre decenni e creare l’uomo della provvidenza. «Creare», ho detto. E Obama coincide perfettamente con quest’immagine: giovane, rinnovato, apparentemente non compromesso con la vecchia guardia politicante, uomo di colore sposato con donna di colore, buon padre di famiglia, sorridente e che, in un periodo di crisi mondiale, dice: «sì, possiamo farcela!». Meglio di così? Ecco costruita l’immagine perfetta, con la speranza di cambiare per il popolo ma senza che il Potere voglia farlo davvero.
Ed ecco un modo fruttuoso per consolidare quest’immagine perfetta. Togliamoci un piccolo sassolino dalla scarpa. Il vincitore del festival di Sanremo non è sempre il miglior cantante, così come chi si aggiudica l’Oscar non è per forza il miglior attore. È solo spettacolo. Ma almeno il premio Nobel (per la pace poi!) dovrebbe essere tutt’altro che spettacolo, dovrebbe essere un esempio, un punto di riferimento. Non è così. È solo spettacolo (ahi noi…). L’assegnazione è spiccatamente pilotata dalle potenti lobbies politiche e dai media a loro asserviti. Ma tutto, nella vita, va dimostrato. Il vincitore del premio Nobel per la pace è Barack Obama, per «i suoi straordinari sforzi nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione fra i popoli». Una scelta quantomeno criticabile e discutibile (per i più) e assolutamente ridicola (per me), in quanto il Presidente USA mantiene ancora schierate le sue truppe in Iraq, prosegue (e come!) la guerra in Afghanistan, anzi coinvolgendo neiraid anche il Pakistan, prosegue le azioni militari in Somalia, mentre soldati USA combattono nelleFilippine. Forse qualcuno («i più», citati poc’anzi) non è ancora soddisfatto. Allora, continuo a rendere ancora più stravagante questo Nobel per la pace: ha piazzato Consiglieri e addestratori militari Usa nel sud della Thailandia, contro i separatisti islamici di Pattani, anche loro accusati di legami con Al-Qaida(rimane ancora oscuro ed inspiegabile nonché invisibile questo “terrorismo” di Al-Qaida…); in Georgia, contro i separatisti osseti e abkhazi sostenuti dalla Russia; in Colombia, contro i guerriglieri delle FARC; inNiger, Mali e Tunisia, contro le cellule locali di Al-Qaida nel Maghreb Islamico (ancora con questo Al-Qaida…); in Yemen contro le milizie di Al-Qaida (!) nella penisola Araba. Ecco il valore di un Nobel per la pace. Sarei curioso di sapere cosa pensano di questa assegnazione tutte le mamme dei militari uccisi (americani e non), o tutte quelle persone che hanno visto massacrati e trucidati i loro cari od anche dei semplici “esseri umani” (non dimentichiamoci che questo siamo…) davanti ai loro occhi, in nome della democrazia e, appunto, della pace (!). Ecco lo «straordinario sforzo» di quest’uomo, ecco la «cooperazione tra i popoli». E mi sto limitando alla semplice amministrazione Obama. Non vorrei andare a ritroso nei precedenti Nobel per la pace. Ora, per il 2010, aspettiamo il Nobel per la “Fisica” a Fabrizio Corona.
Infine, per avere un quadro della situazione veramente completo, farò anche qualche nome sul gadget dei “salvatori”, cioè su coloro che rappresentano gli Stati Uniti d’America, e quindi il suo Presidente:Zbigniew Brzezinski (autore di un libro dove parla di dominio imperiale, dal titolo La grande scacchiera) come dirigente degli Affari Esteri, Bill Gates (non ha bisogno di presentazioni e non fa certo parte del “popolo”…), come Segretario al Tesoro c’è Timothy Geithner (Presidente della FED di New York, anch’essa non proprio attenta ai bisogni del popolo), o anche Lawrence Summers al Consiglio Nazionale Economico (è l’ex presidente di Harvard ed è stato già Segretario al Tesoro con Bill Clinton…). Quanta bella gente, e nuova soprattutto. Ops, dimenticavo: c’è Rahm Israel Emanuel, l’espertissimo lobbista di Washington (già consigliere di Freddie Mae, oggi in fallimento!), l’uomo che fu volontario nell’esercito israeliano durante la guerra del Golfo e che ora predica la guerra contro l’Iran ed un sostegno incondizionato sempre a Israele(ma Obama non era pacifista?).
Se, a mo’ di conclusione, le élites statunitensi avessero voluto davvero mostrare al paese e al mondo un cambiamento simbolico reale e forte (non parlo di un cambiamento di Sistema, che soltanto una rivoluzione potrebbe suscitare), non avrebbero scelto un meticcio il cui padre non era nemmeno un discendente di schiavi. Avrebbero, invece, scelto un indiano, un pellerossa. I neri sono, malgrado loro, il prodotto della conquista del potere bianco negli Stati Uniti. Nonostante siano da sempre stati vittime di un duro e ostentato razzismo da parte dei bianchi, hanno partecipato nondimeno da soldati americani alla conquista del West, senza preoccuparsi troppo della sorte genocida riservata agli Amerindi. E questo è solo un esempio, perché i neri hanno, ormai da secoli, sempre cercato di sopportare questo celato razzismo pur di vivere nell’American dream da schiavi e scomunicati ma comunque americani. Schiavi sì, ma del loro stesso destino, che loro stessi hanno scelto.
Gli Indiani d’America tutti, invece, pur avendo subìto unosterminio totale (si parla di circa 70 milioni di persone!), hanno sempre combattuto con indomito coraggio ed infinito onore contro l’invasione bianca, coprendosi di gloria per sempre.
Se l’élite avesse desiderato dare un simbolo forte di un’America che riconosceva il debito con gli autoctoni che i suoi padri hanno spogliato delle loro terre, della loro dignità, cultura e delle loro credenze, avrebbero dovuto promuovere al posto supremo un indiano. Io, personalmente, l’avrei comunque vissuta come un’ennesima presa in giro (prima ti stermino, poi ti metto al comando, tanto comando sempre io…) ma almeno una presa in giro che tiene conto della storia. Ma non poteva farlo, non poteva agire così, avrebbe implicitamente ma automaticamente provato l’illegittimità del potere bianco sui popoli autoctoni. E tutte quelle guerre poi? Non sarebbero state più giuste e democratiche! Allora, meglio Obama. E togliamoci il pensiero.