Scrittore tibetano ingiustamente condannato a cinque anni di carcere dal regime cinese
di Elia Pirone
Molti lo immaginano, pochi lo sanno, nessuno ne parla. Nell’anno di grazia 2009, in Cina, basta avere una telecamera, partecipare ad alcune manifestazioni e scrivere un po’ di saggi per beccarsi cinque anni di carcere.
Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha recentemente denunciato che Kunga Tsayang, scrittore e blogger tibetano, è stato condannato a cinque anni di carcere per aver divulgato quelli che, secondo il governo capital-comunista cinese, sono “segreti di Stato”. In cosa consistono questi fatti che, per via della loro segretezza, non possono assolutamente essere resi noti alla comunità internazionale?
Kunga è anche fotografo amatoriale e, come lo definisce l’Associazione Italia-Tibet, “cronista della nuova generazione tibetana". Egli ha viaggiato in tutto il Tibet con la sua fedele telecamera, con la quale ha documentato lo stato di degrado ambientale in cui versa l’altopiano tibetano. Per questo è stato arrestato e condannato.
Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ci informa, inoltre, che Kunga era strettamente sorvegliato dalla polizia cinese già a partire dalle manifestazioni di protesta avvenute lo scorso anno nella contea di Labrang (Regione del Gansu). L’uomo che secondo la Cina ha svelato segreti di Stato al mondo intero ha anche lavorato per il Nyempo Yutsae Kyeklam, un gruppo attivo sul fronte della protezione ambientale. Come già detto, è anche autore di alcuni saggi che al regime cinese devono essere apparsi estremamente pericolosi. “Chi è il vero separatista?”, “Chi è il vero nemico della stabilità?”, “Chi ha realmente istigato le proteste?”, sono solo alcuni dei titoli dei suoi saggi.
Un uomo coraggioso, dunque, Kunga Tsayang, che, a causa della sua volontà di fare del bene al proprio popolo rivelando alla comunità internazionale i crimini della Cina, ora dovrà scontare cinque anni di carcere. Cinque ingiusti anni di carcere. Il prezzo che il regime ti fa pagare se tenti di dire la verità. Un regime che, se finisci arrestato, non si preoccupa nemmeno di riferire ai tuoi parenti il luogo in cui sei detenuto, come è accaduto nel caso di Kunga. Un regime disumano nel quale gli agenti torturano a morte uno studente liceale per estorcergli informazioni, come è accaduto allo sfortunato Xu Gengrong.
E verrebbe da chiedersi, insieme a Reporter Sans Frontières, se “è questa la risposta preventiva del governo cinese alla chiara ed esplicita difesa della libera circolazione delle informazioni auspicate dal presidente Obama”.
Verrebbe da rispondersi: evidentemente sì. Così come è evidente la scarsa – per non dire inesistente – “convinzione” di quel grande incoerente del presidente degli Stati Uniti nel tentare di parlare di diritti civili e umani (se solo guardasse “a casa propria” gli si gelerebbe la lingua per la vergogna), quando è palese che gli interessi piuttosto fare di tutto per evitare di scontentare il colosso economico cinese. Ma nano per quanto riguarda i diritti umani.
Tibet libero!